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Primavera

 
Volume 9, numero 1

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Spunti di riflessione da una socia sul parto e la nascita

Di Giuditta Mastrototaro
Il parto e la nascita sono eventi naturali che molto spesso diventano eventi innaturali e traumatici per mamma e bambino. Tutto ciò avviene soprattutto quando una certa cultura che purtroppo è ancora presente in molte strutture medico-sanitarie afferma che la madre debba essere separata dal suo bambino fin dalla nascita: è definito “incivile” quanto “dannoso” alla salute il fatto che si partorisca in casa o che presso diversi popoli “primitivi” madre e bambino non vengano mai separati e il piccolo dorma con i genitori. Lorenzo Braibanti, il medico (presso l’ospedale di Ponte dell’Oglio) che ha maggiormente contribuito a diffondere in Italia la pratica di una nascita senza violenza, parlando dell’allattamento al seno immediato e libero, sottolinea l’importanza della continuità tra la gestazione e la nascita proprio attraverso l’allattamento.

Pensiero ancora di pochi. Al tabù della perfetta igiene si mescola quello del “non starmi troppo vicino” (perché poi prendi il vizio, s’intende). I bisogni primari di contatto, conoscenza reciproca sono soddisfatti sempre meno, con l’ingiunzione, dura a morire, di prendere in braccio il bambino il meno possibile, nutrirlo a ore stabilite ed evitare di cullarlo. Al tempo stesso perde valore l’allattamento al seno. La cultura dominante della donna “vamp” non si concilia con l’immagine della “buona madre”.

La rigidità resiste comunque nelle istituzioni come mancata accoglienza del neonato. Dato che la casa è vista come luogo “a rischio” per il parto, l’ospedale è presentato invece come il luogo della sicurezza ed è qui che la maggior parte dei bambini viene al mondo, sottoposta a regole sanitarie sterilizzate di ogni possibile contatto e calore umano.

L’ospedale fa scuola e i genitori “moderni” imparano a prendere le distanze dal figlio, come dalle proprie capacità di ascolto.
Più volte Martha Welch nel suo libro “l’abbraccio che contiene” afferma che chi non ha fatto esperienza di una madre calda e accogliente non riesce a coccolare il suo piccolo. E’difficile dare ciò che non si è ricevuto. “Generalmente si crede che l’istinto materno sia un fatto culturale, scontato. In realtà viene spontaneo solo riproporre gli schemi educativi che sono stati usati con noi”.

Prima di Martha Welch studiosi come G. Bateson, D.W.Winnicott, J.e S. Robertson e altri ancora ci avevano detto che l’istinto materno si apprende. La potenzialità è innata, ma non si sviluppa senza la stretta vicinanza con il proprio neonato, per toccarlo, guardarlo e ascoltarlo. Un’esperienza d’amore che si trasmette attraverso le generazioni, se però non ci sono interruzioni o interferenze.
Ascoltando le testimonianze delle madri questo “sterilizzazione dei sentimenti” e “il delirio di onnipotenza” esercitata dagli operatori sanitari viene messa in luce.
Pubblicato sul “Il Quaderno Montessori n.23, 1989 con il titolo nemmeno a Ponte dell’Oglio, di C.S”.

“La bimba mi fu subito tolta (dopo il parto) e data a mio marito perché la lavasse. Non mi fu attaccata al seno, non potè neppure avvicinarsi al mio seno. Non potrei stringerla a me, prima che la separazione fosse per sempre. Questo, a distanza di mesi, è ancora la cosa che maggiormente ci fa soffrire: un senso di vuoto, di dispiacere profondo per qualcosa a cui, tutti e tre, avevamo diritto: una primissima dolcissima conoscenza fra noi”.
Un’altra testimonianza viene dall’autrice dell’articolo che presso l’Ospedale di Niguarda di Milano l’11/12/04 ha partorito il suo bambino.

“Nella sala parto con le luci chirurgiche abbaianti, legate le caviglie al lettino ostetrico (contro la mia volontà), con una flebo di ossitocina nel braccio (nonostante fossi arrivata all’ospedale dilatata di 10 cm) con l’ostetrica che manovrava ogni contrazione con le sue mani mentre gli gridavo di non toccarmi, ho partorito il mio terzo figlio. Solo dopo il parto ho realizzato il senso della agghiacciante affermazione dell’ostetrica: “Signora ci penso io a farle nascere il suo bambino”. Non era così che volevo che nascesse mio figlio! Subito dopo il parto (ore: 3.40) l’infermiera mi ha preso il bambino, ho chiesto di poterlo almeno baciare e poi non lo più rivisto fino alle ore 12.00, quando mi sono trascinata presso l’incubatrice che lo conteneva, ho chiesto di poterlo allattare, e finalmente alle 12.30 vi è stato il primo intimo contatto fra noi nel quale abbiamo potuto guardarci, sentirci vicini e consolarci per quella nascita violentata.

Ancora oggi, credo che neanche la metà delle cure ostetriche che ho ricevuto contro la mia volontà fossero necessarie, eppure ho dovuto subirle perché mi trovavo in una posizione di vulnerabilità totale.
Ancora oggi ripensando al parto, lo ricordo come un evento traumatico e alla mia rabbia si aggiunge una sgradevole sensazione di intimità violata e di impotenza”.

Siamo lontani anni luce dalle opere come: L.Braibanti Parto e Nascita senza violenza Il Melograno, Ancona, F. Leboyer Per una nascita senza violenza Bompiani, Milano; A. Montagu Il linguaggio della pelle, Garzanti , Milano; M. Odent Ecologia della nascita, Red edizioni, Como; M.H Klaus, J. Kennell Parent-Infant Bonding, The Mosby Compaby, Londra; J. Liedloff The Continuum Concept, Penguin Books, New York.

Speriamo che a leggere queste opere di inestimabile valore scientifico e culturale siano sempre più gli addetti ai lavori che innamorati del loro mestiere ne facciano un marchio distintivo della loro professionalità e attenzione alle persone e non invece come spesso succede siano solo le mamme ad apprezzarne la veridicità.

 

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