Spunti di riflessione da una socia sul parto
e la nascita
Di Giuditta Mastrototaro
Il parto e la nascita sono eventi naturali che molto spesso diventano
eventi innaturali e traumatici per mamma e bambino. Tutto ciò
avviene soprattutto quando una certa cultura che purtroppo è
ancora presente in molte strutture medico-sanitarie afferma che
la madre debba essere separata dal suo bambino fin dalla nascita:
è definito “incivile” quanto “dannoso”
alla salute il fatto che si partorisca in casa o che presso diversi
popoli “primitivi” madre e bambino non vengano mai separati
e il piccolo dorma con i genitori. Lorenzo Braibanti, il medico
(presso l’ospedale di Ponte dell’Oglio) che ha maggiormente
contribuito a diffondere in Italia la pratica di una nascita senza
violenza, parlando dell’allattamento al seno immediato e libero,
sottolinea l’importanza della continuità tra la gestazione
e la nascita proprio attraverso l’allattamento.
Pensiero ancora di pochi. Al tabù
della perfetta igiene si mescola quello del “non starmi troppo
vicino” (perché poi prendi il vizio, s’intende).
I bisogni primari di contatto, conoscenza reciproca sono soddisfatti
sempre meno, con l’ingiunzione, dura a morire, di prendere
in braccio il bambino il meno possibile, nutrirlo a ore stabilite
ed evitare di cullarlo. Al tempo stesso perde valore l’allattamento
al seno. La cultura dominante della donna “vamp” non
si concilia con l’immagine della “buona madre”.
La rigidità resiste comunque nelle
istituzioni come mancata accoglienza del neonato. Dato che la casa
è vista come luogo “a rischio” per il parto,
l’ospedale è presentato invece come il luogo della
sicurezza ed è qui che la maggior parte dei bambini viene
al mondo, sottoposta a regole sanitarie sterilizzate di ogni possibile
contatto e calore umano.
L’ospedale fa scuola e i genitori “moderni”
imparano a prendere le distanze dal figlio, come dalle proprie capacità
di ascolto.
Più volte Martha Welch nel suo libro “l’abbraccio
che contiene” afferma che chi non ha fatto esperienza di una
madre calda e accogliente non riesce a coccolare il suo piccolo.
E’difficile dare ciò che non si è ricevuto.
“Generalmente si crede che l’istinto materno sia un
fatto culturale, scontato. In realtà viene spontaneo solo
riproporre gli schemi educativi che sono stati usati con noi”.
Prima di Martha Welch studiosi come G. Bateson,
D.W.Winnicott, J.e S. Robertson e altri ancora ci avevano detto
che l’istinto materno si apprende. La potenzialità
è innata, ma non si sviluppa senza la stretta vicinanza con
il proprio neonato, per toccarlo, guardarlo e ascoltarlo. Un’esperienza
d’amore che si trasmette attraverso le generazioni, se però
non ci sono interruzioni o interferenze.
Ascoltando le testimonianze delle madri questo “sterilizzazione
dei sentimenti” e “il delirio di onnipotenza”
esercitata dagli operatori sanitari viene messa in luce.
Pubblicato sul “Il Quaderno Montessori n.23, 1989 con il titolo
nemmeno a Ponte dell’Oglio, di C.S”.
“La bimba mi fu subito tolta (dopo
il parto) e data a mio marito perché la lavasse. Non mi fu
attaccata al seno, non potè neppure avvicinarsi al mio seno.
Non potrei stringerla a me, prima che la separazione fosse per sempre.
Questo, a distanza di mesi, è ancora la cosa che maggiormente
ci fa soffrire: un senso di vuoto, di dispiacere profondo per qualcosa
a cui, tutti e tre, avevamo diritto: una primissima dolcissima conoscenza
fra noi”.
Un’altra testimonianza viene dall’autrice dell’articolo
che presso l’Ospedale di Niguarda di Milano l’11/12/04
ha partorito il suo bambino.
“Nella sala parto con le luci chirurgiche
abbaianti, legate le caviglie al lettino ostetrico (contro la mia
volontà), con una flebo di ossitocina nel braccio (nonostante
fossi arrivata all’ospedale dilatata di 10 cm) con l’ostetrica
che manovrava ogni contrazione con le sue mani mentre gli gridavo
di non toccarmi, ho partorito il mio terzo figlio. Solo dopo il
parto ho realizzato il senso della agghiacciante affermazione dell’ostetrica:
“Signora ci penso io a farle nascere il suo bambino”.
Non era così che volevo che nascesse mio figlio! Subito dopo
il parto (ore: 3.40) l’infermiera mi ha preso il bambino,
ho chiesto di poterlo almeno baciare e poi non lo più rivisto
fino alle ore 12.00, quando mi sono trascinata presso l’incubatrice
che lo conteneva, ho chiesto di poterlo allattare, e finalmente
alle 12.30 vi è stato il primo intimo contatto fra noi nel
quale abbiamo potuto guardarci, sentirci vicini e consolarci per
quella nascita violentata.
Ancora oggi, credo che neanche la metà
delle cure ostetriche che ho ricevuto contro la mia volontà
fossero necessarie, eppure ho dovuto subirle perché mi trovavo
in una posizione di vulnerabilità totale.
Ancora oggi ripensando al parto, lo ricordo come un evento traumatico
e alla mia rabbia si aggiunge una sgradevole sensazione di intimità
violata e di impotenza”.
Siamo lontani anni luce dalle opere come:
L.Braibanti Parto e Nascita senza violenza Il Melograno, Ancona,
F. Leboyer Per una nascita senza violenza Bompiani, Milano; A. Montagu
Il linguaggio della pelle, Garzanti , Milano; M. Odent Ecologia
della nascita, Red edizioni, Como; M.H Klaus, J. Kennell Parent-Infant
Bonding, The Mosby Compaby, Londra; J. Liedloff The Continuum Concept,
Penguin Books, New York.
Speriamo che a leggere queste opere di inestimabile
valore scientifico e culturale siano sempre più gli addetti
ai lavori che innamorati del loro mestiere ne facciano un marchio
distintivo della loro professionalità e attenzione alle persone
e non invece come spesso succede siano solo le mamme ad apprezzarne
la veridicità.
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